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Arte e conflitti tra mito e contemporaneità | la mostra del Mar di Ravenna

Arte e conflitti tra mito e contemporaneità | la mostra del Mar di Ravenna

Le opere esposte ci ricordano che il dialogo, la gestione dei conflitti e delle tensioni, la dialettica fondata sulle ragioni di ognuno non sono la pace, ma l’unica vera alternativa alla guerra.

Il Comune di Ravenna–Assessorato alla Cultura e il Museo d'Arte della città di Ravenna, presentano dal 6 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019 la mostra ?War is over ARTE E CONFLITTI tra mito e contemporaneità a cura di Angela Tecce, storica e critica d’arte e dirigente del MiBACT, e Maurizio Tarantino, direttore del MAR.

«Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte è Re»
Eraclito

«Ma la guerra è finita! - Guerra è sempre»
Primo Levi Non si dà pace senza guerra e viceversa: sembra questo il modo inevitabile di affrontare la questione, ma la mostra propone un altro punto di vista: il contrario della guerra non è la pace ma il dialogo, il conflitto dominato, la dialettica.
Il progetto espositivo si articola intorno a tre temiVecchi e nuovi miti, sulle ideologie che in passato come oggi sono state spesso alla base di conflitti, o sulle mitologie che ne sono derivate; Teatri di guerra. Frontiere e confini, che restituisce la rilettura data dagli artisti delle immagini di guerra che si susseguono sotto i nostri occhi, dove i confini dividono ciò che è “dentro” da ciò che è “fuori”; infine Esercizi di libertà, più specificamente rivolto a ciò che l’arte può dirci sul nostro futuro, non come proiezione di un presente conflittuale, ma come spazio libero di creatività.

Il percorso espositivo
Le scelte curatoriali di Angela Tecce e il punto di vista filosofico e letterario di Maurizio Tarantino si completano con l'intervento di Studio Azzurro: quattro installazioni creano un continuum, un legame tra i diversi piani e livelli su cui si distribuisce la mostra e integra le opere con le sue classiche suggestioni audiovisive e interattive. La scala, in cui suoni e immagini accompagnano la salita del visitatore, e le sue domande. La sala d'ingresso, dove, attraverso una feritoia, ci si cala nei miti e nelle tragiche realtà della prima guerra mondiale. Il corridoio del primo piano, dove i calchi di cavalli e cavalieri del Partenone della gipsoteca del MAR si rianimano al passaggio del visitatore evocando tematiche dantesche. E infine la rilettura e ricontestualizzazione del monumento simbolo delle collezioni del MAR, la struggente lastra funeraria di Guidarello Guidarelli, recentemente restaurata e riallestita.
L’ordinamento dell’esposizione procede per assonanze, contrasti, armonie e disarmonie. La decisione di non seguire un criterio cronologico deriva dalla volontà di rispettare il qui e ora che non solo presiede alla realizzazione di un’opera d’arte, ma che è il portato inevitabile del suo essere storia e del suo destino. Ed è proprio per sottolineare la contemporaneità assoluta di ogni opera – tanto più in un tema sempre presente come quello della guerra – che ognuna di esse è stata scelta in modo da farne risuonare le motivazioni più profonde e poetiche, attraverso il confronto con altre opere, portatrici di sensibilità differenti se non opposte.
Il fulcro della mostra è costituito da un nucleo di artisti “storici” che hanno declinato le tematiche della guerra in modi diversi e financo opposti, dalla propaganda bellico-futurista di Marinetti a De Chiricoche con I gladiatori, 1922, rilegge la violenza della guerra mondiale con il filtro di una classicità depurata ed eterna. Picasso con l’opera in mostra, Jeux des pages, 1951, torna a una riflessione sui disastri della guerra iniziata nel 1937 con Guernica e che si concluderà con le due grandi composizioni del 1952 intitolate La Guerre e La Paix. I nostri due più grandi artisti del secondo Novecento, Lucio FontanaAlberto Burri, esprimono con sensibilità diversissime la lacerazione che i danni del secondo conflitto hanno provocato prima di tutto nelle coscienze, cui si unisce la voce sonora e indignata di Renato Guttuso.
Un nucleo di grande suggestione della mostra è costituito dal “corpo a corpo”, attraverso i secoli, di immagini guerresche: il vaso con scene di battaglia tra greci e troiani e il frammento marmoreo con un legionario romano, Il Portabandiera di Rubens e l’addio di Ettore e Andromaca di De Chirico, fino al guerriero postmoderno per eccellenza, il maestro Joda di Guerre Stellari.
I tre grandi temi che hanno ispirato la scelta degli artisti si intersecano ad ogni piano per rendere più fitta la trama della mostra: ai teatri di guerra fanno riferimento, tra gli altri, Christo, William Kentridge(che si ricollega a De Chirico), Jake & Dinos Chapman, col loro minuzioso catalogo degli orrori, Gilbert&George, reporter dei conflitti urbani, Alfredo Jaar e Robert Capa. I vecchi e nuovi miti aleggiano nell’opera di Robert Rauschenberg, nel denso e magmatico mare di Anselm Kiefer, nella denuncia di Fabre (nascosta sotto una coltre cangiante) in Andy Warhol e Hermann Nitsch, mentre sono esercizi di libertà le opere di Mimmo Paladino, Marina Abramovic, Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò.

Il contrappunto filosofico letterario
Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso. È questa la lezione che Mordo Nahum impartisce a Primo Levi; e alla sua obiezione: ma la guerra è finita!, il greco risponde: Guerra è sempre
Un altro greco, Eraclito, 2500 anni prima, chiamava Polemos padre di tutte le cose. In questo lungo arco di tempo grandi pensatori ci hanno ricordato che il conflitto è connaturato all'essere umano: da Kant, che giudica lo stato di guerra e non quello di pace lo stato naturale tra gli uomini che vivono gli uni a fianco degli altri, a Hegel, che ricorda come persino gli eterni Dei del politeismo non vivono in pace perpetua. Dal Machiavelli dell'Arte della guerra a Hobbes, per il quale non esiste per alcun uomo mezzo di difesa così ragionevole quanto l'assoggettare, con la violenza o con l'inganno, tutti gli uomini che può, fino a che non vede nessun altro potere abbastanza grande da metterlo in pericolo.
Ancora all'inizio del Novecento i futuristi inneggiavano alla guerra “igiene del mondo” e persino nell'ambiente rarefatto della famiglia Montale, la sorella del poeta poteva scrivere a un'amica che a Eugenio Farà bene la vita militare, gioverà moralmente – perché era troppo sognatore, passivo, sulle nuvole, inadatto alla vita pratica.
Negli stessi anni Benedetto Croce, alla domanda Si può abolire la guerra ? rispondeva che una qualche forma di guerra continuerà sempre, perché la guerra è insita alla vita, e che semmai si trattava di provare a evitare nel secolo ventesimo e nei paesi di Europa, quella empirica guerra, che si fa coi cannoni e con le navi corazzate; che costa miliardi, quando non si fa, e decine di miliardi, quando si fa; e da cui il vincitore stesso esce spossato e vinto.
Come si sa, la speranza di Croce è stata crudelmente disillusa, e il secolo ventesimo ha visto strumenti di guerra ben più potenti e atroci dei cannoni e delle corazzate, a partire dalla prima guerra mondiale. Il mito degli uomini e dei popoli che si rinnovano, delle nazioni che ringiovaniscono, delle masse che fanno la storia, diede vita a un'orribile carneficina. E invece di un nuovo Eden scrive Claudio Magrisin cui avrebbe dovuto vivere felice e buono il nuovo Adamo, vennero a regnare e a incrudelire Mussolini, Hitler, Stalin.
Dai mostri e dalle apocalissi delle guerre del Novecento è nato il pacifismo, ben sintetizzato nel preambolo alla Costituzione dell'UNESCO del 1945: Poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace. Ma ben più potente del grido degli slogan e delle canzoni rintrona ancora oggi il rumore della violenza e della sopraffazione dell'uomo sull'uomo.