Mostra sul dadaismo
«Dada non significa nulla» scriveva Tristan Tzara nel Manifesto Dada del 1918. Eppure, a cent’anni dalla nascita del movimento più provocatorio della storia dell’arte, siamo ancora qui a celebrarlo. Dal 2 ottobre al 26 febbraio 2017 il Museo di Santa Giulia di Brescia ospiterà “Dada 1916. La nascita dell’antiarte”, la mostra organizzata da Fondazione Brescia Musei in collaborazione con l’Università Cattolica e l’Accademia Santa Giulia. Il percorso ripercorrerà il fenomeno Dada dagli albori ai suoi influssi sull’arte successiva, concentrandosi anche sul suo rapporto con l’ambito italiano, e proporrà una ricostruzione del Cabaret Voltaire, lo storico locale di Zurigo dove nacque il movimento. «La mostra si compone di oltre 270 opere e documenti originali, suddivisi in quattro sezioni tematiche: “Dada prima di Dada”, “Dada, Zurigo e il Cabaret Voltaire”, “Arte e filosofia Dada” e “Oltre Dada”», hanno spiegato Francesco Tedeschi ed Elena Di Raddo, curatori del progetto insieme al direttore di Fondazione Brescia Musei Luigi Di Corato e docenti del corso di laurea Stars (Scienze e tecnologie delle arti e dello spettacolo) dell’Università Cattolica di Brescia. La rivoluzione dadaista
Dada è stato il movimento artistico più irriverente della storia moderna. Sviluppatosi tra il 1916 e il 1920 in Svizzera attorno a Tristan Tzar, Hugo Ball e Jean Arp come provocazione contro tutti gli -ismi letterari ed artistici, ha investito soprattutto le arti visive, la letteratura, il teatro e la grafica, assorbendo suggestioni di vario genere, dai poeti tardosimbolisti francesi all’espressionismo tedesco, dalle ricerche strutturali dell’avanguardia russa alle intuizioni di Marcel Duchamp, passando per le “parole in libertà” dei nostri futuristi Marinetti, Carrà, Cangiullo.
«Col senno di poi, fu una vera rivoluzione. Forse una delle poche davvero riuscite», scrivono i curatori di “Dada 1916. La nascita dell’antiarte”. Il 5 febbraio 1916 nella sala del Cabaret Voltaire, ricostruito quest’anno a Zurigo per il centenario, si tenne per la prima volta «un nuovo genere di spettacolo, volutamente fondato sul “non-senso”, sull’assurdo, sulla casualità delle espressioni e delle azioni. Un “caso” e un “non-senso” che […] facendo leva proprio sull’annullamento, sull’azzeramento delle forme espressive precedenti, diventava il punto di partenza di una lunga serie di iniziative, di idee, di proposte, che contribuirono nei mesi e negli anni successivi alla scossa di un’arte che scardina i limiti degli stili, delle tecniche, delle relazioni fra la parola, l’immagine, il suono», si legge nell’introduzione alla mostra.
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