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L'EGITTO A VERONA

L'EGITTO A VERONA

Mostra situata nel Museo Archeologico al Teatro Romano

Dal 28 maggio 2016, fino a settembre 2017, la mostra L'Egitto a Verona accompagna la riapertura del Museo dopo i lavori di riqualificazione.
Gli oggetti egizi o ispirati all’Egitto, già esposti solo nel 1999-2000, sono entrati nel Museo nell’ambito di diverse collezioni, prevalentemente dedicate a materiali del mondo classico; sono quindi in numero limitato (un centinaio circa) e privi di provenienza puntuale, ma consentono di sviluppare tematiche interessanti.
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La mostra, a cura di Margherita Bolla, è situata al piano principale del Museo ed è suddivisa in sezioni. Nella prima, Il culto e la magia, si entra nel ricchissimo universo dei culti egizi, già percepiti come esotici da Greci e Romani soprattutto per la tendenza ad adorare alcune divinità sotto forme animali. Minuscoli bronzetti raffigurano un dio-ariete e il bue Apis; altri, cavi come quello della dea-gatta Bastet, servivano a contenere mummie o parti di mummie di animali, che i devoti e i pellegrini acquistavano per deporle nei santuari. Molte statuine in bronzo raffigurano Osiride, dio che – insieme con Iside – rivestì un ruolo importante nella religione dell’Egitto.
La vita oltre la morte presenta materiali tipici delle sepolture, come gli ushabty – figurine in materie prime diverse – che rappresentavano i “servitori” sostituti del morto, pronti a rispondere al dio dei morti Osiride, quando avrebbe chiamato il defunto al lavoro nei propri campi. Alcune parti di mummie, in prestito dal Museo di Storia Naturale di Verona, documentano il complesso trattamento di imbalsamazione che gli Egizi riservavano ai morti, per garantire loro l’”eternità” del corpo. Infine una tavola in pietra raffigura le offerte che i familiari portavano alla tomba, fra le quali non potevano mancare pane e birra.
La sezione Le civiltà africane e Roma è divisa in due parti: con Egitto e Roma si illustra il grande favore che il culto di Iside, con il marito Serapide (già Osiride) e il figlio Arpocrate (Horus), ottenne nell’Impero sia in ambito domestico, come attestano alcuni bronzetti, sia nei santuari dove operavano sacerdoti vestiti in modo peculiare. Uno di essi è rappresentato da una testa in marmo, copia di una nota scultura conservata a Roma. Nella parte dedicata a Africa e Roma si documenta l’interesse che il mondo africano, con i suoi curiosi animali – come l’elefante o il rinoceronte – o i suoi esotici abitanti, suscitò nella civiltà romana, dove la provincia Africa era raffigurata con copricapo a testa di elefante e con una zanna dello stesso animale sul braccio. Questa sezione della mostra può essere integrata con la visione, al piano superiore del Museo, della vetrina dedicata ai materiali dal santuario delle divinità egizie a Verona.
Proseguendo la mostra, i materiali del Museo ispirati in vario modo al mondo egizio illustrano l’Egittomania, la forte attrazione che questa antica e complessa civiltà ha esercitato negli ultimi secoli sulla cultura europea, non solo fra gli studiosi, fino ad arrivare nell’Ottocento a divertenti produzioni seriali in porcellana.
L’ultima sezione, Un veronese in Egitto (realizzata in collaborazione con l’Università di Padova, Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte, sito nel palazzo del Liviano), è dedicata a Carlo Anti, importante archeologo nato nel 1889 a Villafranca (dove gli sono dedicati un liceo e una via). Prima di diventare professore e poi rettore dell’Università di Padova, si dedicò allo studio di materiali romani del Museo Archeologico di Verona, lucerne in particolare (esposte alcune, con soggetto “africano”). Negli anni Trenta diresse la Missione archeologica italiana a Tebtynis, l’attuale Umm el Breigât nel Fayum, a 170 km a sudovest del Cairo, un esteso villaggio nato attorno al 1800 a.C. e abitato fino al XII secolo d.C., che ha fornito in particolare una grande quantità di papiri, oggetto di studio in Italia e all’estero. All’attività di Anti in Egitto (proseguita in particolare dall’IFAO, Institut Français d’Archéologie Orientale, con l’Università di Milano) è dedicato il video che conclude la mostra, che contiene anche un filmato degli anni Trenta, dagli archivi dell’Istituto Luce (Roma).



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